Lista di distribuzione: ivo.quaranta.Antropologia_Corpo_Malattia
Il I modulo sarà centrato su 1) salute e malattia; 2) Medicine; 3) Cura/efficacia terapeutica
Il II modulo sarà invece più applicativo: tradurre quanto appreso in pratiche trasformative tramite gruppi di lavoro su temi rilevanti come etnopsichiatria o medicalizzazione del non-normato (sostituisce i 2 libri a scelta per l’orale).
legame antropologia medica con istituzioni: antisistemica ma non oltresistemica, no anarchica?
Terrani, l’ultimo giro di giostra
Ritorneremo sull’idea di malattia reale = base organica.
L’antropologia culturale nasce in Francia dalla metà dell’Ottocento, ma poi si sviluppa a Oxford a fine Ottocento con E.B. Tylor. Si tratta di una disciplina giovane. L’antropologia medica nascerà dagli anni ’70 del Novecento, però già dalle origini gli antropologi si interessavano di salute, medicina e malattia in ottica magica, simbolica e religiosa.
i poteri magici sono reali? domanda suicida per l’antropologo, se la fa de Martino. Dipende dal concetto di realtà che si adotta (positivismo, etc.): etnocentrismo critico, cioè metto in discussione anche la mia cultura
magia come struttura morale che previene i conflitti: i primi sospettati saranno chi ha contatti con lo sfortunato
Malinowski, Argonauti del Pacifico occidentale
HIV in Africa molto diffuso ma poco letale: il virus si è evoluto per sopravvivere. Non letale perché essendoci povertà i malati gravi vengono subito abbandonati e il virus muore subito con loro
Parlare di biologie locali fa rinascere spettri di razzismo? “Trattato di Antropologia”, Luigi Capasso
Con B. Good e Eisenberg, dice che ogni sistema medico è frutto di categorie culturali. Ha formazione psichiatrica.
Una svolta è la problematizzazione antropologica della biomedica.
Kleinman denuncia una fallacia logica.
La biomedicina ha predilizione per le condizioni individuali e anatomo-fisiologiche
Psicofarmaco come manganello chimico: cosa significa la cura nel contesto penitenziario. Documentario di Agata Mazzeo “Le Officine della Memoria. Museo Ogr: Storie di lavoro, amianto e lotte per la salute”.
Non solo il sanitario promuove la salute
Antropologia dei microbi. “Biocapital: the constitution of postgemonic life”, Sunder Rajan. Di Annemarie Mol interessante per la struttura è “The body multiple: ontology in medical practice”, ma anche “The logic of care”.
I medici non sono formati per comprendere la illness, né sulla relazionalità. Si ritiene che un professionista debba essere distaccato: c’è il “rischio di empatia”. L’infermiere invece è formato sulla illness (Kleinman poi la rigetterà). + I medici si occupano di curing, cioè della disease, mentre gli infermieri del caring, cioè della illness. + Al centro dovrebbe stare il significato per il paziente
Kleinman propone a questo punto un’antropologia clinicamente applicata: interviene sulla formazione medica e sul rapporto medico-paziente.
La sua scuola viene chiamata degli EM-writers che seguono il meaning-centered approach. Concetto di modello esplicativo: il problema non è la falsità delle dimensioni della biomedicina, ma limitare lo sguardo a queste. La cultura opera come strumento di selezione di alcuni aspetti, generando quindi coni d’ombra. La costruzione culturale ci porta a indagare le categorie esplicative, cioè modelli della e per la realtà. Si lavora su 5 piani.
Questo approccio si basa sì su cosa ne pensa il paziente, ma comunque in merito a ciò che ha detto e selezionato, tramite le categorie esplicative, il medico. Finisce per replicare l’approccio biomedico centrato sull’individuo e i suoi presupposti. Il risultato è una medicalizzazione dell’antropologia.
Oggetto + Quadro teorico + Metodo
Patients and Healers in the Context of Culture è facile da criticare, ma anche da applicare. L’obiettivo di Kleinman è creare una scienza sociale clinica. Oltre a questo c’è anche un interesse verso l’analisi comparativa dei sistemi medici.
limite della ricerca-azione? accettare le strutture per darsi alla prassi, limitandosi a cambiare al massimo qualche condizione, ma non il sistema
La biomedicina pecca di riduzionismo, riduce la malattia a mera patologia e ignora i significati che le persone attribuiscono alle proprie esperienze di sofferenza e morte, cioè la illness (la rottura di una gamba avrà lo stesso valore di disease tra me e un’atleta, ma in termini di illness avrà un significato radicalmente diverso). Possiamo standardizzare le malattie, ma non l’esperienza delle persone, che vanno coinvolte nella definizione del proprio concetto di malattia.
L’obiettivo è rendere più umana la medicina, si iniza a parlare di medical humanities.
Disease e Illness sono due differenti modelli esplicativi. Interessa sviluppare una scienza sociale clinica concentrata sull’esperienza del paziente. Si indaga la illness per non minare l’efficacia del riduzionismo biomedico (come nel caso dell’ipertensione): lo scopo è allineare i pazienti con le definizioni biomediche. Indagare la sola illness per non minacciare il disease, che va bene così: medicalizzazione dell’antropologia.
la specie umana è l’unica che per agire ha bisogno di costruire modelli di rappresentazione della realtà
Si può fondare anche un’antropologia medica di stampo comparativo. Questa è la seconda dimensione di Kleinman, vicina all’antropologia classica.
Pecca di culturalismo, ignorando tutte le dinamiche sociali, economiche e storiche. Per lui “la cultura plasma la malattia tramite le categorie che utilizziamo per interpretarla”. Ha una visione molto meccanicista.
Contemporaneamente scrive Byron Good. Non ha formazione medica, è un antropologo tout court. Epigono di Turner, che per primo introduce nel forte positivismo antropologico inglese, che guardava solo le relazioni sociali, l’attenzione al piano simbolico. Marxista britannico tifoso del Manchester United. Studiando su Geertz, seguace della culturologia di Boas, e su Turner ha una forte propensione verso il piano simbolico e culturale.
Il linguaggio medico è un idioma socialmente accettato per rinegoziare le dimensioni della nostra esistenza. Abbiamo bisogno di uscire dal recinto metodologico della biomedicina.
È diverso da Kleinman, però entrambi guardano solo le categorie medici, Kleinman in quanto costruzioni culturali, Good in quanto idioma socialmente legittimato. Invece non si chiedono quali siano e quali i linguaggi legittimati e perchè lo siano. Permane impostazione culturalista e determinista di Kleinman: la cultura come qualcosa che hai in quanto appartenente a un determinato gruppo umano (Good dice “concorrono”).
La scuola di Harvard subirà critiche radicali fin dall’inizio.
Malattia come metafora, Susan Sontag: arriva a dire di spogliare la malattia dalle sue rappresentazioni sociali, ma è un errore, dal momento che non c’è un piano zero di realtà, non esiste una dimensione deculturalizzata, non ha senso la distinzione tra fatto e significato. Ci sta dire di cambiare rappresentazione ma non pensando di arrivare al grado zero. Definire qualcosa come fatto è espressione di precisi valori culturali
la scienza occidentale è un grande progetto culturale
Svolta postmoderna nell’etnografia: molta ricerca in Colombia, azione di contestualizzazione storica; lavoro sui rituali di guarigione degli sciamani, mette in luce come queste pratiche sono intessute di relazioni con il potere coloniale ed evidenzia l’impatto economico di mercato sulle forme locali. Si rifà all’antropologia interpretativa. Si laurea in medicina in Australia, inizia a studiare antropologia negli Stati Uniti e trova impiego nel sistema universitario.
L’esperienza di malattia proietta gli afflitti al di fuori di un ordine condiviso di esperienza e di significati. Quindi per Taussig Kleinman non sta problematizzando i piani fondamentali oltre all’efficacia della biomedicina: questa è sì un sistema culturale ma sta proiettando e riproducendo i valori dominanti dell’ordine sociale.
troviamo un uomo per strada malato e chiamiamo l’ambulanza. Dopo la dimissione quella persona tornerà per strada
In quegli anni Franco Basaglia porta avanti ragionamenti che rievocano questi: quando rappresentiamo la natura come naturale trasliamo il potere dell’uomo sulla natura (dominio tecnico) al potere dell’uomo sull’uomo. Contesto dei manicomi: tenere le persone in quei contesti produce cronicizzazione, mentre nei contesti esterni non esisti soltanto in quanto malato.
Critica a Taussig
Riproduce meccanicisticamente la prospettiva marxiana che è caratterizzata da un forte positivismo: anche le relazioni sociali sono viste in ottica positivista e oggettiva. La stessa antropologia è una lettura socialmente e culturalmente situata, tanto quanto la biomedicina. L’unica differenza èche coglie aspetti che altrimenti sarebbero rimasti marginali.
Contesto di quegli anni:
Nella critica e lettura di Evans-Prichards quello che succede tra gli Azande non è diverso dalla biomedicina: il capitalismo è solo una particolare modalità di organizzazione dell’ordine. Una differenza però c’è tra biomedicina e pratiche curative degli Azande: nel secondo caso si indagano le relazioni di cui quella persona partecipa, mentre nella biomedicina si parla di statistica o victim blaming, con attenzione su come funziona. Non si chiede il perchè, altrimenti si dovrebbero indagare le relazioni sociali di cui partecipa l’individuo.
Se Kleinman propone un’antropologia nella biomedicina, Taussig si oppone e propone un’antropologia della biomedicina.
Sopperire al riduzionismo biomedico dando rilievo ai significati di malattia dei pazienti: proposta della scuola di Harvard. Risposta di Taussig: si colonizzerà anche la illness medicalizzando l’antropologia. Per Taussig importante è il disease, cioè come la biomedicina interpreta la malattia, è una questione politica (ignorarlo depoliticizzerebbe la medicina, trasformandola in strumento di controllo sociale, nascondendo le dinamiche di potere dietro l’interpretazione biomedica).
Allan Young, ora in pensione, lavora alla McGill University, università anglofona di Montreal. The anthropology of illness and sickness, Allan Young Scrive articolo per l’Annal Review of Anthropology (socio-culturale, linguistica, biologica, archeologica), rivista che vuole fornire ai lettori sullo stato dell’arte di un certo argomento in quell’anno. Parla della proposta di Harvard: gli piace la divisione tra d e i, ma la preferenza per la i è molto parziale. Rimanendo solo sulla costruzione culturale della realtà clinica, operata da pazienti e medici, si ignora la dimensione sociale dell’antropologia medica, cioè la sickness.
Questo processo di traduzione è molto denso, molti esiti di traduzione si potrebbero produrre. Lo stesso segno può essere tradotto in sintomo di malattia molto diversa, in base al tuo posizionamento socio-economico.
A Taussig dice che anche gli antropologi, come i medici, non hanno accesso privilegiato al reale. Possiamo però comprendere come la realtà viene socialmente costruita e quindi come poi si crea la verità. Discorso molto estendibile oltre l’antropologia medica. Young sta fondando proprio una nuova antropologia.
Max Gluckman ha l’idea di creare un’etnografia processuale: le cose non sono sempre andate così e non andranno sempre così. Non ricerca una norma che talvolta non c’è o spesso non viene seguita e si cerca di piegarla a proprio vantaggio. No visione statica della cultura ma processualità. Young si forma su Gluckman e su Foucault.
Considera Marx uno dei primi antropologi: sposta attenzione dal prodotto al processo.
Andrea Ravella, la verità prodotta è l’esito di un conflitto sociale.
Antropologia è l’analasi dei processi di produzione sociale della categorie culturali: minatori, Ilva, terremotati L’Aquila, identità. Il contesto sociale non è qualcosa di dato, ma è qualcos che costantemente costruiamo e noi dobbiamo studiare come questo avviene. Assemblaggi che istituiscono il reale.
6 mesi è la soglia di cronicità in medicina
Kleinman e Taussig non distruggono i presupposti della biomedicina, considerano il corpo come un bel prodotto organico. La rivoluzione in antropologia avverrà pochi anni dopo l’articolo di Young con il concetto di “incorporazione”.
Young scrive per 20 anni il libro sul PTSD. Young lavora sui processi di produzione sociale. C’è stato un riassemblaggio, il concetto di trauma c’era già, alcuni dicono che Gilgamesh dopo l’uccisione di Enkidu soffre di PTSD. Importante il concetto di memoria traumatica.
Concetto di biopolitica di Foucault rielaborato.
I clinici non ricercano elementi e sintomi, ma li co-costruiscono nella relazione con il paziente.
Si interessa di come la realtà della diagnosi viene costruita, ma si interessa anche di come una diagnosi contribuisce a costruire la realtà futura? Vedere la sentenza giuridica come una forma di diagnosi: da alcuni fatti si evince un categoria sociale per etichettare quel comportamento e di conseguenza curarlo, o curare la società Antropologia politica si interessa di aspetti legali: John Komaroff. Malati fuoriluogo, dialogo tra giurista e antropologo, Quaranta.
Abbiamo visto quindi come Young si pone complementare alla risposta di Harvard. Egli invita però a guardare i processi di produzione sociale dei saperi medici. Bisogna chiedersi cos’altro viene prodotto oltre all’auspicabile efficacia della biomedicina.
Ci propone quindi un approccio da un lato genealogico (studiare i meccanismi e le dinamiche politiche e sociali che stanno dietro l’assemblaggio del reale) e da un lato produttivo (indagare quali effetti produce una diagnosi).
Il PTSD è uno strumento occidentale per trasformare carnefici e vittime
Leggere Focault su colonizzazione del corpo da parte della scienza
In quegli anni comunque si creano due schieramenti opposti: l’antropologia clinicamente applicata, figlia di Kleinman, e l’antropologia medica critica (CMA), portata avanti da Hans Baer e Merril Singer (conia concetto di sindemia, rivalutato nel 2020 in opposizione alla descrizione del Covid19 come pandemia). Quest’ultima propone un approccio vicino a quello di Taussig, ripartendo dai presupposti marxisti e coniando il termine di medicina borghese. Tuttavia Young si distacca da questo approccio (risposta a Quaranta laureando: “I let do them work”).
Nel 1984, due anni dopo Young, pubblica Rethinking “Illness” and “Disease”, una rassegna delle varie definizioni che gli autori precedenti danno di disease e illness. Tutti continuano a non problematizzare la visione della malattia come la biomedicina la definisce, cioè patologia, ma aggiungono solo pezzi a questa definizione. Nessuno sta, quindi, problematizzando il corpo per come viene inteso in Occidente. Stanno tutti abbracciando la visione biomedica di corpo.
Potremmo definire la sofferenza come l’oggetto dell’antropologia medica e non la disease, la illness o la sickness. La sofferenza e le sue varie interpretazioni e ideologie (insieme di idee).
Michael Jackson nel 1984 scrive Knowledge of the body.
Viene pubblicato anche The mindful body di Nancy Scheper-Hughes, statunitense della University of California di Berkley, e Margaret Lock, inglese della McGill University, la stessa di Young. Grande sodalizio di ricerca. Articolo pubblicato per il primo numero del Medical Anthropology Quarterly nel 1987, come manifesto della rivista. Esattamente 10 anni dopo e in opposizione alla fondazione della rivista Culture, Medicine and Psychiatry, fondamento della proposta di Harvard.
Considerare il corpo come soggetto attivo è il grande contributo di Scheper-Huges e Lock.
Stanno recuperando la tradizione fenomenologica di Merleau-Ponty e il suo lavoro sulla fenomenologia della percezione.
Considerando il corpo come un prodotto storico-culturale ma che allo stesso tempo produce, arriviamo a ripensare tutti i suoi stati d’essere. Non tutto ciò che è disordine corporeo deve essere visto come malattia, ad esempio.
Il corpo va visto non solo come perfetto organismo. Il corpo va visto come mai è stato fino ad ora, cioè come esperienza vissuta.
Leggere articolo che passa Quaranta
Spesso ci dimentichiamo del corpo (salute = silenzio del corpo), ma quando stiamo male ci rendiamo conto di come il corpo determina il mondo che viviamo. La riflessione di Scheper-Huges non funziona solo sul piano psicologico o in casi di estrema violenza e oppressione. Le dinamiche di esclusione che seguono un’alterazione genetica non sono implicite nell’alterazione biomedica, sono frutto di come noi abbiamo plasmato il mondo e di come abbiamo organizzato la realtà sociale. Questa ennesima causa di sofferenza è storico-sociale. A volte la diagnosi di depressione viene vista come una negazione della realtà della sofferenza.
Cosa sono i tre corpi e non quali sono.
Svolta riflessiva in antropologia con Writing cultures nel 1986. Si mettono in discussione i presupposti culturali della disciplina. In questo contesto si inscrive The mindful body.
Esempio di Ong, Spirit possession and capitalist discipline, scritto in contemporanea e in dialogo con l’articolo di Scheper-Hughes. Lo spirito che possiede non è altro che un’esperienza incorporata (possessione delle operaie malesiane).
L’approccio è chiamato critico-interpretativo. I significati culturali non soltanto codici di costruzione simbolica, ma sono anche codici disciplinari. Il corpo vissuto è dove si crea l’egemonia, cioè dove il culturale viene naturalizzato. Il corpo è anche il sito della lotta, della resistenza al potere. Si può parlare di esperienza incorporata. Il corpo è il mezzo per cogliere quando i processi di costituzione della persona diventano costrittivi.
Agendo diversamente entifichiamo l’esperienza di sofferenza racchiudendola tutta nel nostro corpo. L’esito successivo è la patologizzazzione che precede un intervento sull’individuo per riportarlo all’ordine sociale.
Esempio dell’ADHD in Italia, quando i genitori lottavano per la medicalizzazione dei figli.
Non hanno intenzione di squalificare la biomedicina, ma il problema è l’uso sociale che se ne fa quando il corpo si manifesta all’eseprienza in maniera disordinata. Nella dimensione corporea dell’esperienza siamo abituati a prestare attenzione solo al dato biochimico, mentre ignoriamo l’aspetto espressivo e simbolico.
Scheper-Huges scrive anche Saints, Scholars, and Schizophrenics, che farà arrabbiare molto la comunità rurale irlandese presso la quale conduce la ricerca per aver messo in luce la violenza della vita quotidiana, cioè la dimensione costrittiva dei rapporti costitutivi (dove c’è legittimità naturale c’è violenza nascosta). Lei ha una visione molto militante dell’antropologia: è la disciplina salvatrice dalla violenza quotidiana.
Nel 1992 scrive Death without Weeping. Mal ricevuto in Brasile, appena uscito dalla dittatura e gli accademici nord-americani erano visti molto malamente, quasi colonialisti. Studia l’affetto materno e capisce che non è istintivo, ma collegato alle condizioni materiali di esistenza: ce l’hai solo se puoi permettertelo (studia donne che in condizioni estreme lasciano morire i figli senza speranza). Poi effettua anche ricerca sui tagliatori di canna da zucchero nel nord-est brasiliano.
Margaret Lock scrive Encounters with aging. Diversa da Scheper-Hughes, che è sempre eccessiva, con una visione sempre militante dell’antropologia. Lock è posata, britannica, chiara. Studia come si concepisce culturalmente la menopausa tra il Nord America e il Giappone. In USA arrivano vampate, osteoporosi, depressioni, etc. In Giappone invece non ci sono questi sintomi e si entra in una nuova fase della vita indipendentemente dalle mestruazioni. Sono processi di costruzione della corporeità, quindi biochimicamente i fenomeni avvengono comunque, ma non sono marcati e vissuti come rilevanti. Lei non sta biologizzando le differenze culturali, ma sta facendo notare come le differenze culturali influenzano l’esperienza dei fenomeni biologici.
Lock scrive anche Twice Dead, sul trapianto di organi. Sottolinea la natura sociale della morte. Il confine tra vita e morte non è naturale. Ha a cuore il concetto di biologie locali. Analizza come le biotecnologie ridefiniscano il confine tra vita e morte e producano nuove esperienze sociali (non si guarda più al battito del cuore ma al funzionamento del cervello per decretare la morte). Nota che in Giappone ci si rifiuta per molto tempo di affidarsi alla respirazione assistita: perché persona e corpo sono concepiti in modo diverso. Noi intendiamo la persona collegata all’attività intellettiva, il corpo è solo mera materia, un organismo biologico. In Giappone invece il corpo è persona, è il terreno delle relazioni. Anche le tecniche simboliche sono tecniche che incidono sui confini tra vita e morte. Le tecniche di intervento possono essere anche materiali, ma sono sempre simboliche.
Peace Corps, simili al servizio civile internazionale.
provare a riprodurre le proposte degli autori quando si legge
La cultura non solo è radicata nelle pratiche, che sono incorporate. La cultura non è solo qualcosa che abbiamo, ma qualcosa che facciamo. Si tratta di un’antropologia dal corpo che non prescindere da un’antropologia del corpo. Non guardano al corpo in sé come soggetto attivo dell’esperienza, ma come attivo a partire dai processi della sua plasmazione. L’aspetto rivoluzionario è guardare all’esperienza come momento generativo dei significato. Stanno pensando in modo incorporato all’agency. Tuttavia sono molto schiacciate sulla dimensione del potere. Deintellettualizzano la produzione di significati e il concetto di cultura, ma ci dicono anche che noi continuamente negoziamo e contrastiamo i processi di plasmazione. Per questo motivo si possono manifestare forme di resistenza incorporata.
Inizialmente si pensava che la grande innovazione di The mindful body fosse il corpo politico, cioè l’introduzione di Foucault nel discorso antropologico medico. Questo è vero in USA, dove Foucault è arrivato tardi.
Volenti o nolenti l’esperienza di malattia o la crisi del corpo produce un diverso rapporto con il mondo. In passato questo è stato sempre strumentalizzato dalla psicologia per il concetto di “somatizzazione”. Tuttavia c’è anche una dimensione espressiva e non strumentale. Il corpo manifesta sofferenza come effetto meccanico di un’oppressione sociale: dimensione strumentale. Tuttavia ci dicono che l’esperienza è sempre elaborata culturalmente e sempre produce un nuovo posizionamento nel mondo. Se il corpo manifesta il mondo è ovvio che una crisi del corpo generi una crisi del mondo. “Si creano dei fori nelle egemonie”, il posizionamento nuovo dovuto alla crisi del corpo ci fa vedere come artificiose quelle cose che avevamo visto come naturali: ecco che rientra il politico.
La lezione che ci consegnano rimane tuttavia importantissima. L’esperienza di malattia non solo è una pratica culturale (produce un nuovo rapporto con il mondo), cioè il corpo diventa il terreno esistenziale della significazione (il corpo altera i processi di significazione) con cui si rinegoziano i rapporti con il mondo. Tuttavia la malattia per loro è un’arma dei deboli (Weapons of the weak, James C. Scott), propria di chi non può negoziare i termini della propria esistenza.
Di conseguenza dovrei agire sulle condizioni di esistenza e non sull’individuo per “curare”. Di che corpo la società ha bisogno è la domanda della biomedicina, mentre Scheper-Hughes dice che la domande dovrebbe essere “di che società il corpo ha bisogno?”.
Anonima review chiede se fossero cattoliche perché il numero tre ritorna sempre, Nancy lo è, Margaret no.
Non stanno ancora parlando esplicitamente di incorporazione, ma dopo poco diventerà la nuova cornice paradigmatica. Nel 1990 tutto converge in Embodiment as a Paradigm for Anthropology di Thomas J. Csordas.
Diffusione degli immunosoppressori che aumentano l’efficacia biomedica di un trapianto (no rigetto e più possibili donatori) ma che rendono possibili donatori molte persone, quindi aprendo le porte al traffico o agli espianti di organi dalle prigioni cinesi e braisliane, sopratutto degli organi doppi.
Kleinman non darà mai spazio di dialogo a Taussig, però legge e apprezza Young e cavalche bene le critiche che riceve, reinterpretandole.
Postcolonial disorders DelVecchio, Good, etc.
Coinvolgere altri approcci non biomedici ha senso nella misura in cui si mette al centro il punto di vista del paziente. Qualora questo trovasse importante un’altra pratica la si integrerebbe. Non avrebbe altrimenti senso istituzionalizzare per tutti il malocchio ad esempio.
Embodiment as a Paradigm for Anthropology, Thomas J. Csordas. L’incorporazione nel processo di formazione della cultura è l’intermediario tra società e simboli. Doppio focus di Csordas rispetto Scheper-Hughes; lui ignora il corpo politico, emerge da sé. Gli interessa l’esperienza vissuta. Con Geertz concepiamo la cultura come un testo e quindi indaghiamo le rappresentazioni culturali, cioè le pratiche con cui simbolicamente costruiamo la realtà. Lui riconosce la parzialità di questo lavoro, mancando un partner dialogico a questo approccio semiotico. Questo partner dialogico è l’incorporazione.
Bisogna guardare al linguaggio come a un’esperienza incorporata. La comprensione dell’altro avviene perché nel linguaggio viene evocata l’esperienza, non rappresentata e poi decodificata semioticamente. Il linguaggio non è solo oggettivazione linguistica dell’esperienza vissuta, ma anche evocazione, e la comprensione etnografica si fonda su questo che lui chiama riflessività. I significati in etnografia si co-costruiscono, per questo può essere trasformativa; non si genera solo conoscenza tramite la comprensione dell’altro, ma si genera capitale d’azione, questa è ricerca-azione. Diventa quindi la produzione di significato il centro della produzione del sé e del mondo. Il mondo si genera nella produzione incorporata del significato.
Per Pizza Csordas ha un approccio esclusivamente filosofico, per Quaranta invece ha un grande potenziale etnografico. L’obiettivo è produrre capitale d’azione. La ricerca di Quaranta sulla correlazione tra malattie e disuguaglianze sociali a Bologna non ha come obiettivo dimostrare questa correlazione, lo sanno tutti che è vero, è creare visibilità pubblica, coinvolgere varie figure e vari enti obbligandoli poi a non ignorare la questione. Non sta producendo conoscenza, ma capitale d’azione.
Incorporazione è mettere sempre al centro il valore che il corpo ha in una certa situazione, non studiare i movimenti del copro o altro.
Martin ha un’esperienza incorporata dividuale, dove non ha spazio di autonomia. Però vive in un contesto, in un habitus fondato sull’esperienza individuale, sul controllo di sé. Questa dissonanza provoca sofferenza e non gli permette di adattarsi. Nuotando per la prima volta può sperimentare la sensazione di determinazione individuale.
Tramite il corpo possiamo ripensare l’efficiacia terapeutica nei termini di una nuova realtà fenomenologica. Se il mondo plasma il corpo e il corpo influisce su come esperiamo il mondo, un cambiamento operato da terapie sul corpo provoca cambiamenti sul mondo. Body/Meaning/Healing di Csordas spiega come i termini siano un continuo: la guarigione dipende dal significato, che è prodotto dal corpo. Bisogna creare quindi le condizioni perché le persone partecipino della produzione di significato rappresentata dalla cura.
Esistono pazienti inguaribili, ma non pazienti incurabili. Si possono aiutare a creare significati per i quali vale la pena vivere il tempo che rimane. Non è questione di accettare una malattia, ma di qualificarla.
Incorporazione è un concetto assimilato anche nella riflessione storiografica.
Il discorso biomedico è solo un’oggettivazione culturale come un’altra. Tutti i sistemi di oggettivazione culturale sono monchi. Anche l’antropologia lo è, anche la fenomenologia di Csordas.
Bisogna valutare la disponibilità o predisposizione del paziente ad accogliere un certo sistema di oggettivazione. Nessuno di per sé curerà deterministicamente la malattia, ma ne parteciperà sicuramente alla guarigione.
L’agency, la capacità d’azione è sempre relazionale.
Paradigma dell’incorporazione dagli anni Novanta fino al primo decennio del Duemila. Csordas dice che è un paradigma utile a “studiare la cultura e il sé”. Vuole aggiungere all’approccio semiotico-testuale quello dell’analisi dell’esperienza vissuta (la Presenza di De Martino). La cultura viene vissuta immediatamente nell’esperienza quotidiana, ma poi c’è anche il secondo piano, quello dell’oggettivazione culturale dell’esperienza vissuta. Il corpo è il terreno generativo ed esistenziale del sé e della cultura (forse basta dire della cultura, poiché il sé emerge dalle pratiche incorporate: produciamo il sé). Anzichè cercare di comprendere un certo comportamento o una certa pratica, cerco di capire come quella pratica si pone produttrice di determinati significati.
Con Csordas si impone il corpo invididuale e non quello politico, evidenziato invece da Scheper-Hughes. Da Merleau-Ponty eredita l’idea che la percezione parte dal corpo per arrivare al mondo: guardare ai sensi come pratiche incorporate di percezione del mondo. La percezione è un processo indeterminato: non siamo deterministicamente schiacciati su un mondo socio-culturale. Il corpo, come disse Pierre Bourdieu, è socialmente informato.
Come possiamo accedere all’esperienza vissuta dell’altro? L’empatia è proprio la co-costruzione di significati, non è una caratteristica individuale, ma una pratica relazionale (con empatia definiamo l’oggettivazione culturale di queste pratiche).
Sta parlando delle radici corporee della significazione. Quindi tutto ciò che avviene a livello incorporato ha a che fare con la significazione.
Torniamo sulla riflettività. Questo principio risolve molti problemi precedenti: come posso io appartenente al mondo cultuarale A a comprendere qualcuno del mondo culturale B? Non siamo portatori di pacchetti di significati stagni. I significati si creano nel corpo e in modo continuo. Dunque siamo sempre parte della realtà che indaghiamo: parlerò di quello che è emerso nella relazione con qualcuno. Il risultato è figlio sia del suo posizionamento sia del mio. Quei precisi significati non sarebbero emersi senza la mia presenza. Si tratta sempre di co-costruzione corporea. L’etnografia diventa quindi una pratica culturale; una co-costruzione del significto caratterizzata da un estremo livello di auto-consapevolezza. Geerzt ci racconta di come estrapolare i testi e poi di come analizzarli etc, ma non ci parla di come li ha co-prodotti.
Embodied ethnography. Doing culture, Aaron Turner. Nasce l’idea di fare cultura. Esempio di essere un pezzo costitutivo della realtà indagata.
Non tutte le pratiche di incorporazione sono silenti, ma alcune sono riflessive. L’autolesionismo è evidente, ma non è l’unico esempio possibile: anche quando voglio imparare una nuova postura per esempio. La danza e il teatro sono esempi perfetti. La gestione del corpo da parte di un attore è frutto di un processo di incorporazione riflessiva. Vedere per approfondimento Nick Crossley.
chiedersi sempre come si applica un pensiero o un paradigma Sistema sanitario italiano copiato da quello britannico: ognuno dà ciò che ha per dare a chi ha di meno. Diritto al significato dell’altro: non devo insegnare come comportarsi, anche nel lavoro con altre figure professionali, ma devo dire cose che per loro hanno un significato. il senso più importante in Africa è quello dell’equilibrio, insegnato fin dall’infanzia. Ha un valore morale. rischio di autoreferenzialità della disciplina: ci creiamo noi l’oggetto di studio. Senza la disciplina non esisterebbe l’oggetto?
Alcune relazioni ereditate dalla storia triangolare schiavista atlantica le viviamo ancora nell’esperienza incorporata. Per la prima volta si crea un terreno metodologico che rende l’analisi indipendente dalle categorie e quindi dalle conoscenze biomediche.
Mondo morale locale di Kleinman è fondamentale come strumento. Permette di de-essenzializzare partendo dal vissuto. Adottando la fenomenologia cultural di Csordas si arriva a parlare di mondo vissuto. Da qui Good ci propone che il corpo sofferente diventa un agente disordinato di esperienza. Se il mondo esiste rispetto a un corpo e viceversa, la crisi del corpo comporta la “dissoluzione del mondo vissuto”, cioè di quella realtà che viviamo come naturale (naturalizzata tramite l’esperienza incorporata). Il mondo viene sì denaturalizzato, ma anche dissolto.
Guarigione non significa quindi solo tornare a uno stato precedente, ma acquistare un nuovo modo di esserci
La dissoluzione del mondo è quando viviamo in modo non più scontato e naturale quello che prima lo era. È un processo di denaturalizzazione. Non stiamo considerando inferiore il mondo altro creato dall’esperienza del malato per proporne uno “giusto e corretto”. La crisi è quel momento in cui il velo di naturalità viene squarciato. La crisi suprema è la dissoluzione del significato, per De Martino come per Good. + Drew Leder, The absent body: il corpo in uno stato di dis-agio è rivoluzionario, perché non sopporta più la presenza.
La media trasformato in norma produce la devianza
Per Kleinman questo nuovo paradigma deve rimanere sempre centrato sull’applicazione clinica dell’antropologia.
Norbert Elias, La solitudine del morente
Il riduzionismo biomedico è sicuramente capace di produrre cambiamenti (vedi alcune condizioni di estremo dolore fisico, insopportabili senza antidolorifici, che arriverebbero anche a impossibilitare totalmente una ricerca di significato), ma spesso non basta solo questo. Dipende comunque dai casi.
Il diritto al significato è entrare con consapevolezza metodologica nelle relazioni di vita, non compilare un’etnografia sulla vita di ogni paziente. Fa effettivamente risparmiare tempo in un contesto emergenziale come nei pronto soccorso, dove il tempo è tutto.
La scuola di Harvard si presta molto all’approccio narrativo. Contemporaneamente l’antropologia in questi anni guarda molto più alla critica letteraria, rispetto alla stagione precedente che ha visto un grande dialogo tra antropologia e filosofia. Ritorna per Harvard l’interesse forte verso la dimensione applicativa e quindi clinica della disciplina antropologica.
Ritorna a proposito il tema dell’efficacia terapeutica. Csordas e Kleinman pubblicano Il processo terapeutico. Al cuore del concetto di efficacia terapeutica c’è sempre la capacità delle persone di produrre significati, qualificando le esperienze vissute. + A trasformare l’esperienza però non è mai la comunicazione dell’informazione, ma la produzione del significato. Emergono come agenti dell’efficacia i pazienti, non i medici. La comunicazione dell’informazione è fondamentale, ma non trasforma l’esperienza: bisogna concentrarci sul diritto al significato, cioè promuovere la produzione attiva da parte delle persone dei significati delle proprie esperienze. + Non si cade nel paternalismo. Se questi significati sono prodotti dalle persone stesse non riorientano il loro vissuto. + Molto innovativo. A lungo l’antropologia sull’efficacia terapeutica è rimasta all’ombra di Levi-Straus. In Antropologia strutturale del 1958, in particolare nei saggi Lo stregone e la sua magia e L’efficacia simbolica si concentra sulla triade di guaritore, malato e gruppo. Il malato rappresenta solo l’occasione in cui il terapeuta viene chiamato a formulare un linguaggio capace di riaffermare l’universo simbolico del gruppo. Il guaritore avrbbe, quindi, un ruolo fondamentale: interpretando il problema dell’afflitto riafferma i valori su cui si fonda il sistema simbolico del gruppo. Riprende il ragionamento di Cannon in Voodoo death sull’effetto nocebo, contrario di quello placebo, in particolare sulla morte per stregoneria (“l’integrità fisica non resiste alla sua morte sociale”). Il medico esprime i valori del gruppo che altro non sono che emanazione delle regole che fondano l’inconscio strutturale. Quando si riconduce il mondo del singolo a quello della comunità si generano trasformazioni psicofisiche. + Nel nostro contesto la psicanalisi agisce molto similmente. La psicanalisi cerca di ricostruire il mito individuale tramite lo stesso meccanismo. In questo ragionamento il paziente è escluso, agisce solo il terapeuta e in modo secondario il gruppo. + Queste riflessioni, mai verificate etnograficamente, hanno fatto scuola e si è parlato di efficacia simbolica anche al di fuori del discorso antropologico. + Nel tempo si è invece capito come a fare la differenza fosse il ruolo del paziente. Taussig in Colombia ha notato come nelle pratiche di guarigione sciamaniche fossero inscritte le esperienze coloniali. Capisce che l’incontro tra consultante e terapeuta è un momento di grande produzione di significato: il paziente è attivo in questo momento di creazione culturale. Si generano significati originali, non si riproduce l’universo simbolico del gruppo come dice Levi-Strauss. + Esempio della partoriente Kuna che non riesce e ascolta un canto dello sciamano, tutto in una lingua esoterica incomprensibile che parla di come lo sciamano entra nel corpo e libera i passaggi. Quindi non è lo sciamano a produrre un linguaggio che riordina l’esperienza, ma è la paziente partoriente a creare i significati. Lo sciamano crea un’occasione, non un significato, questo fa costruito dal paziente. + Per Csordas quelle che noi chiamiamo “credenze”, non sono forme della mente, ma disposizioni del corpo. Noi costantemente produciamo significati, co-costruiamo senza rendercene conto. La produzione di significato quindi è anche preriflessiva e inconsapevole. + Infine Levi-Strauss pretende che il ridimensionamento al gruppo sia sintomo di efficacia terapeutica. Tuttavia sappiamo che il sociale è attraversato da discriminazioni, esclusioni e squilibri di potere. Per questo produrre dei significati non basta. Al cuore dell’efficacia terapeutica c’è sempre una rinegoziazione della nostra esperienza di vita, ma a volte il gruppo sociale può essere frammentato e contraddittorio (no gruppo sociale = salute). Bisogna quindi chiedersi se sono in condizioni materiali di vivere nel modo per il quale ho rinegoziato la mia esperienza.
Kuna come servi dei servi, autorappresentazione politica di oppressi di secondo livello, oppressi da Panama che è oppressa dagli USA
Psichiatra di Jane, nigeriana costretta a prostituirsi a Torino e parte in cause nel processo per cui ha denunciato, sospende il giudizio (diagnosi di psicosi avrebbe minato la sua voce nel processo) e chiede una perizia antropologica. Arriva Quaranta e lei è molto oppositiva: crea le condizioni affinché le persone possano esplorare a voce alta le loro idee. Il significato non è qualcosa che abbiamo, ma qualcosa che facciamo in modo originale e innovativo. Non è prodotto dallo psichiatra o dall’antropologo, ma dal suo tentativo di inscrivere l’esperienza del corpo in disordine in una pratica culturale incorporata che lei conosce. Tuttavia se dopo aver riconfigurato l’esperienza non ci sono le condizioni materiali per applicare la riconfigurazione non serve a nulla: Jane non è pazza, la sua possessione rientra in una costruzione di senso, ma se non avesse trovato la cooperativa per lavorare l’avrebbero espulsa.
La malattia non è solo qualcosa che ci capita, ma qualcosa che anche facciamo, che interpretiamo entrando in campo di forze tra interpretazioni legittimate e non, ma la facciamo anche con il nostro corpo, dal momento che produce un diverso posizionamento nel mondo. La malattia è anche sempre una pratica culturale (ricordare l’anche, è anche una questione anatomo-patologica). Quindi anche la salute è un costrutto culturale, ha a che fare con ciò che dà valore alla vita delle persone. Tuttavia è un costrutto culturale che va generato socialmente: bisogna creare le condizioni per poter vivere all’altezza dei significati prodotti; le condizioni non sono universali ma individuali, quindi il momento narrativo assume esplicita importanza.
In Levi-Strauss non ci piace il riproporre la distinzione mente-corpo, l’affermare l’equivalenza tra dimensione psichica e simbolica e affermare anche la distinzione tra efficacia simbolica ed efficacia simbolica. L’efficacia simbolica si spiega tradizionalmente con l’effetto placebo: errore biomedico nel pensare che sia lo psichismo a fondare l’effetto placebo, cioè la persuasione del paziente. Si fonda su un inganno. Tuttavia abbiamo visto come quello che biomedicamente è definito effetto placebo lo possiamo ripensare come trasformazione del sè connotata dalla generazione di significato.
Il concetto di diritto al significato e quindi l’idea che il significato va prodotto e fatto deve essere alla base di ogni nostra ricerca sul campo, al di là dell’antropologia medica. Dobbiamo creare le condizioni affinché le persone possano co-produrre un significato. L’azione incorpora sempre dei significati, per questo non ha senso chiedere le idee e le ragioni, basta chiedere cosa si è fatto o altro (“conosci qualcuno a cui è successa la stessa esperienza? parlami di loro” funziona da Dio: esempio di Quaranta con Jane; parlare degli altri è sempre più facile, togli dal focus la persona a cui fai la domanda: non “da medico che idea hai degli infermieri?”, ma “secondo te che idea hanno gli infermieri di voi medici?”, bisogna sbarigliare le carte).
I significati arrivano a trasformare l’esperienza solo quando sono prodotti: vanno sia analizzati sia prodotti. Non sempre i pazienti hanno una prospettiva completa e coerente, biosogna costruirla e creare le condizioni per farlo.
The McGill Ilness Narrative Interview (MINI) pubblicato da Allan Young su Transcultural Psychiatry. È un modello di intervista narrativa. È un modello, ma poi bisogna improvvisare in quanto l’intervista è un’interazione umana. Le interviste narrative semistrutturate vanno negoziate.
Provare a utilizzare il modello di intervista, con registrazione etc. Mandare una settimana prima dell’appello. Per improvvisare serve un grande lavoro di costruzione prima (come in musica)
Chiedersi sempre cosa viene prodotto dall’applicazione di un dato modello e quindi che cosa viene lasciato fuori. In questo caso si considera sempre un processo di cura istituzionale. L’approccio narrativo può, però, essere utilizzato anche per fare altro. Antropologia vista spesso come strumento per misurare la differenza. Tuttavia spesso dietro le differenze si celano delle disparità. Quando l’antropologia occulta le disparità chiamandole differenze si sta facendo complice di queste disparità: Paul Farmer dice di partire dalla fine tessitura delle biografie, in quanto terreno migliore per intercettare quali disuguaglianze stanno agendo sul vissuto della gente e per capire in che modo lo stanno facendo. Si deve creare una solidarietà pragmatica: individuare i meccanismi che stanno intercettando il vissuto biografico limitando la capacità di azione del singolo. Abbiamo ampio margine di azione nel particolare, anche se i problemi sono strutturali (non si può aspettare che passino, visto che nel frattempo le persone soffrono). Nell’efficacia simbolica è completamente assente l’idea di giustizia sociale.
Il fratello di Paul Farmer è Jeff Farmer, noto wrestler. Documentario Bending the arc su Netflix
Paul Farmer fonda ONG Partners in Health. Dottorando sotto la guida di Kleinman. Di formazione è un medico
Lavora durante l’epidemia di AIDS ad Haiti, contesto con grande povertà generalizzata dove il virus è ormai è endemico. Segue stigmatizzazione degli haitiani negli USA. Rappresentati come anello di congiunzione per l’AIDS tra l’Africa e gli USA. Haiti è celebre negli USA per le pratiche magico-religiose del voodoo. Gli haitiani sono visti come selvaggi che vivono secondo pratiche dell’Africa equatoriale. Ad Haiti lavora con un sacerdote che aveva creato un ambulatorio, ma vuole cambiare il corso degli eventi. Trova nell’antropologia medica intuizioni inadeguate: dovrebbe studiare la costruzione culturale che si crea tra gli haitiani intorno all’AIDS. La risposta alimenterebbe stereotipi. Lavorare sulle rappresentazioni culturali porterebbe solo a far ricadere la “colpa” sulla loro cultura. Lo vede come un lascito geertziano (“comprendere, ma non spiegare i comportamenti”) che funziona per i comportamenti, ma non bisogna smettere di spiegare perché ci si trova in certe condizioni di vita. Non devo solo interagire con il comportamento, ma anche con il contesto che l’ha portato a esistere. Recuperare la spiegazione, da aggiungere al ragionamento geertziano.
In AIDS and Accusation ragiona sulle dinamiche di produzione sociale della sofferenza. I discorsi di N. Scheper-Hughes gli sembrano opachi: guarda alle narrazioni e prova a utilizzarle non solo per la co-costruzione dei significati. Ci vede anche una via per ricostruire le dinamiche socio-economiche e politiche. Inizia quindi a raccogliere storie. Per spiegare perché le persone si trovano in queste condizioni devo partire dalle biografie e poi allargare l’analisi, capendo come sono venute in essere certe condizioni. Si genera quindi un lavoro di etnografia storico-politica.
Capisce che le persone che si ammalano sono tutte costrette per motivi economici a entrare in rapporti economico-sessuali. Per lo più turisti americani del weekend. L’AIDS è arrivato dagli USA ad Haiti e non il contrario e la popolazione locale lo ha contratto per accedere a mezzi economici altrimenti preclusi. Poi ci occuperemo delle costruzioni culturali locali, ma dobbiamo prima capire perché c’è l’AIDS.
In questi anni non ci sono ancora farmaci previrali, non c’è opzione terapeutica. Si può solo prevenire il contagio. Cosa fare quindi nella pratica?
Storia dell’indipendenza di Haiti: indipendenza dalla Francia e subito controllo USA. Duvalie e J.B. Aristide.
I benpensanti del mondo parlano di salute e benessere ignorando la giustizia sociale. I diritti umani tutelati dall’ONU e dagli USA sono i diritti civili e politici, non sociali ed economici: non si impegnano a dare pari opportunità, ma a garantire il libero accesso alle elezioni e il libero pensiero. Senza i diritti sociali ed economici non si possono capacitare le persone.
Women, Poverty, and AIDS: Sex, drugs, and structural violence, edito da Farmer contro il culturalismo (usare la cultura per spiegare: bisogna usare le condizioni economiche di esistenza). Decostruiscono la natura “sessista” dell’AIDS: è vero che le donne sono più a rischio, ma non per costruzioni culturali (il rituale della vagina secca) o per questioni di geometria euclidea (il tessuto vaginale è molto più esteso di quello fallico a parità di sezione sul piano), ma perché ci sono forti e strutturali disparità di genere.
Va bene criticare il riduzionismo biomedico, ma attenzione che la maggior parte dei mostri li abbiamo creati noi con il culturalismo antropologico. Bisogna aggiungere sia nelle scienze sociali sia nella medicina il tema della giustizia sociale. I mattoni della nostra esistenza sono biologici, ma il processo di costruzione è sempre sociale. Abbiamo classificato l’HIV in diverse tipologie, ma quelle varianti hanno a che fare con le diverse realtà socio-economiche e storico-politiche: esempio dell’AIDS poco letale in contesti di estrema povertà. In questi termini si parla di incorporazione delle dinamiche socio-economiche.
On Suffering and Structural Violence in Pathologies of Power. Farmer riesce a mettere insieme studiosi opposti, come Lock e Kleinman, e fa anche mettere da parte momentaneamente il paradigma dei 3 corpi, fortemente controintuitivo, che non era mai andato oltre l’ambito strettamente antropologico.
L’oggetto dell’antropologia medica non è più la sickness o la illness, ma la sofferenza sociale.
Il comune obiettivo è indagare le dinamiche di produzione sociale della sofferenza. Si capisce anche come declinare e attuare l’intervento, volto a intercettare queste dinamiche di produzione per disinnescarle.
Importante è la scoperta della teologia della liberazione (Gutierrez e altri) in America latina. La salvezza e la liberazione sono intese come giustizia sociale in vita e non salvezza delle anime. Gutierrez conia il termine di “solidarietà pragmatica”.
Altrettanto importante è il concetto di violenza strutturale, coniato da J. Galtung nel Journal of peace research. Egli intendeva che la situazione interna di un paese non dipende esclusivamente da dinamiche locali, ma è sempre la conseguenza della posizione che lo stato occupa a livello geopolitico mondiale.
Dobbiamo rifarci allora a forme di conoscenza che non si limitano a stare sul prodotto, ma che raggiungono anche il processo: altrimenti equivale a raccogliere acqua con un vaso forato.
Quando con Partners in Health ricevono molti soldi da filantro-capitalisti iniziano a portare medicine, ad esempio in Perù. Tuttavia si accorgono che questi farmaci sono inefficaci. Si è sviluppata una forma di tubercolosi farmacoresistente, dovuta a un’assunzione discontinua e scorretta del farmaco. Di AIDS non si muore, è un drastico indebolimento del sistema immunitario, susseguono poi malattie, tra tutte la tubercolosi. Si oppone alla definizione della tubercolosi come malattia dei tropici: è una malattia della povertà, del potere. Inizia a richiedere farmaci di seconda linea, perché quelli di prima linea non bastano: si oppongono poiché il costo di curare una persona costa quanto fare prevenzione per altre 100. Si incazza poiché le risorse ci sono, sono semplicemente bloccate in capitale offshore, sono solo mal redistribuite. Ottiene dall’OMS di inserire i farmaci di seconda linea in quelli essenziali: guerra politica con le case farmaceutiche, ma questi farmaci non hanno più brevetti validi.
Non sarà in grado di disinnescare le cause prime delle disuguaglianze, ma tramite le biografie delle persone decapacitate si può agire sui meccanismi direttamente rilevanti. Non bisogna cambiare i comportamenti, ma creare le condizioni affinché le persone possano cambiare i propri comportamenti. Arriviamo da qui in un terreno ancora mai toccato dall’antropologia: la promozione della salute. Fino ad allora l’antropologia aveva criticato la biomedicina. Lui utilizza un linguaggio che non mina ontologicamente ed epistemologicamente il ragionamento biomedico, è comprensibile per i medici. Mette in luce cosa stanno lasciando fuori, ottenendo una perdita di capacità di azione. Su come Farmer promuove la giustizia sociale non tutti sono d’accordo.
Sistema penitenziario USA alternativa al welfare per Wacquant
La violenza strutturale si articola principalmente lungo tre assi: genere (costruzione sociale dei rapporti di genere per naturalizzare l’esclusione sociale), razza/etnia (la razza non esiste, ma la discriminazione su base razziale esiste; non sono alcune etnie ad ammalarsi di più, ma sono i poveri a farlo e guarda caso questi coincidono con le minoranze etniche), differenza culturale (il problema delle culture diverse è il rapporto che intrattengono con la società maggioritaria: non è problematico il fatto che i Rom siano sporchi, ma che siano eslcusi e marginalizzati per questo motivo. Non bisogna cambiare i comportamenti delle persone, ma rivedere i rapporti che questi comportamenti intrattengono con i nostri maggioritari).
chi si occupa di cosa selezione nella biblio
Documentario Bending the Arc su Partners in Health e Paul Farmer.
Con Farmer si sposta il focus sulla produzione sociale della sofferenza. Manca però il punto di vista degli attori, che sono solo rappresentati come vittime del sistema. L’apparato teorico non prevede mai la considerazione del loro punto di vista. Non parte dalla locale definizione di salute per capire dove intervenire. Bisogna prestare tuttavia attenzione al significato che può esserci, che qui sparisce. Sacrosante le critiche a Scheper-Hughes, però manca il significato. Farmer decide di farsi partner delle vittime. Rischia di schiacciarsi solo sull’ordine globale, incapace di correggersi, e quindi non può fare altro che prendersi cura delle vittime. L’approccio incorpora le circostanze politiche globali.
La salute non viene problematizzata, si trattano solo le patologie: la salute infatti non è solo assenza di malattia
Si sono incanalati in un segmento, ma non colgono la complessità del tutto. Dall’approccio farmeriano ci prendiamo ciò che ci piace, le teorie non sono vangeli.
Attenzione al concetto di violenza strutturale: è una teoria che spiega tutto, togliendo il bisogno di analisi. Quando un concetto spiega tutto non sta spiegando nulla. Ci permette di concentrarci sulle dinamiche costrittive delle strutture di esistenza. Questo deve essere il punto di partenza, non di arrivo. Mentre Farmer si limita a dire ciò e poi presentare il suo agire pratico nel merito. È un approccio che guarda solo le disuguaglianze, ignora le differenze culturali. Facendo così si perde il punto di vista degli attori locali, ma anche e soprattutto l’analisi culturale riflessiva sulle proprie categorie. Ci sta proponendo la biomedicina come forma di giustizia sociale, secondo un approccio universalistico.
grevità degli operatori comunitari: rischio del panopticon, cittadino osserva cittadino Didier Fassin csi di Torino con Giuseppe “Geppo” Costa; Fanon a Torino e Napoli; SIMM con Salvatore Geraci; La città che cura, documentario su realtà triestina con presidi di salute comunitaria (simili agli agenti comunitari di salute di Farmer).
Quando decidono di investire i soldi inaspettatamente forniti da Bush fanno il salto di qualità: ristrutturare i sistemi sanitari nazionali. Da violenza strutturale a competenza strutturale.
Quando hanno iniziato a standardizzare un approccio costruito su anni di esperienza sul campo ad Haiti viene meno l’efficacia. Gli approcci comunitari sono una tessitura di rapporti di fiducia, non possono essere standardizzati e meccanicisticamente riprodotti.
Sono anche criticabilissimi gli approcci biopolitici portati avanti dalla ONG. Tuttavia bisogna sempre pesare le criticità con i guadagni materiali (una medicina che salva la vita vale più della criticità biopolitica).
All’inizio del 2000 ci sono alcuni cambiamenti: si cura l’HIV, i farmaci calano di prezzo, G.W. Bush inaugura il PEPFAR (15 miliardi di dollari destinati per 5 anni alla distribuzione di farmaci retrovirali: più ingente progetto di sanita globale mai fatto).
I farmaci anti-retrovirali non guariscono, ma curano. Rendono l’HIV una condizione cronica e non una malattia letale. Questi farmaci sono costosissimi. Si crea regime del silenzio: le persone o non si fanno il test o quando lo fanno non vanno a ritirarlo (sistema people service: l’ospedale ti accoglie e poi tu ti paghi la terapia), anche per lo stigma. Non ha senso viversi lo stigma se tanto non c’è cura disponibile.
Conferenza sull’AIDS in Sud Africa con dichiarazione del presidente:“non è l’HIV la causa dell’AIDS, ma la povertà”. Il Sud Africa compra i farmaci da stati esterni alla WTO, arrivando a pagare i farmaci da 98$ a 4$, togliendo il prezzo del brevetto. Successivamente le Big Pharma portano in tribunale il governo sudafricano, in quanto membro della WTO. Da qui le persone scendono in piazza a Johannesburg. Qui si inserisce il PEPFAR.
Il PEPFAR prevede la distribuzione di farmaci. Problema della logistica: i paesi che ricevono non hanno sistemi sanitari pubblici funzionanti, quindi ci si affida agli ambulatori religiosi, stabili e dislocati nel territorio. Subito ci si rende conto che la domanda di cura è enormemente superiore all’offerta terapeutica. Si stabilisce quindi il problema del triage:
V.K. Nguyen svolge un’etnografia del PEPFAR. Medico francese di origini vietnamite che fa il dottorato in antropologia medica sotto l’ala di Margaret Lock. Scrive The Republic of Therapy. IL rifiuto a testarsi visto prima viene riportato nella letteratura scientifica come una sorta di negazionismo africano, ignorando che porterebbe solo alla morte sociale prima che alla morte biofisica. Quindi si devono superare innanzitutto le resistenze alla diagnosi. Si instaura una forma di contatto e di tutela della salute mai visto prima per quelle persone.
Adriana Petryna, Life Exposed - Biological Citizens after Chernobyl. Studia che tutti i risarcimenti dell’URSS prima e dell’Ucraina poi sono basati sulla capacità di presentazione biologica del danno: si parla di forme di bio-legittimità e quindi di cittadinanza biologica. Alcuni diritti legati alla cittadinanza sono attivati in virtù della propria condizione biologica.
Nguyen e Petryna trovano nel pensiero di Giorgio Agamben un’ottima cornice. Riprendono il concetto di bare life/nuda vita. Agamben parte dalla biopolitica di Foucault. Con Nuda Vita intende il processo con il quale la vita umana viene spogliata di ogni significato politico e sociale, rendendola solo biologia. Foucault aveva declinato il concetto di biopolitica principalmente all’ambito medico; Agamben lo estende oltre quello sanitario, a tutti gli aspetti politici globali. Quindi ci sono alcune vite meritevoli e degne di essere vissute, quindi degne di protezione e tutela.
Didier Fassin si inserisce in questo contesto. Dice che i diritti non vengono riconosciuti alle persone, ma alla loro condizione biologiche, creando uno spartiacque tra vite degne di essere vissute e mere esistenze biologiche.
Storicamente la medicina si è opposta alla religione che vedeva la vita come qualificata dalla presenza dell’anima. Il darwinismo ha risposto a questo in modo antitetico. Oggi stiamo ricreando culturalmente queste differenze. La legge 40 rende l’embrione soggetto giuridico. Si crea un dispositivo che informa gli orientamenti morali e le leggi. La logica che le unisce tutte è l’ethos compassionevole: diventa vittima chi riesce a dimostrare la propria sofferenza in modo fisico e materiale (è reale ciò che è visibile). Il modo per ottenere diritti è incarnare il ruolo di vittima. Le politiche globali oggi sono informate dalla nuda vita e dall’ethos compassionevole. Al cuore di questo dispositivo politico c’è una grammatica delle emozioni, una politica delle emozioni. Di per sé non è un problema il prendersi cura delle vittime, ma il problema è quando è tutto schiacciato su questo, quando la politica si prende solo cura delle vittime senza risolvere i problemi che le creano: ci si concentra solo sul prodotto e non sul produttore.
Si sta problematizzando il lavoro di Paul Farmer, andando oltre. Non squalificandolo, ma problematizzandolo. Il problema è un’etica centrata solo sulla nuda vita, che rischia di riprodurre violenze. Tuttavia la dimensione biologica non va ignorata, è una parte della realtà. Non si critica un lavoro come quello di Paul Farmer, ma ci si chiede “Che cos’altro viene prodotto?”. Bisogna riaffermare un’etica della giustizia sociale: Farmer ha fatto coincidere l’accesso alla biomedicina con il compimento esauriente della giustizia sociale; bisogna recuperare anche le altre dimensioni, presenti, della giustizia sociale. Dobbiamo comprendere il valore e il significato che la vita ha per le persone che la conducono: l’alternativa alla sola considerazione biologica della vita non è sbarazzarci di questa dimensione, ma recuperare le altre. Tra queste ci sono le relazioni di cui si partecipa e i significati che noi attribuiamo alla vita. Questo significa ripoliticizzare la vita: chi può farlo? Non i medici, né gli antropologi o gli attivisti, ma le persone che conducono la vita. Per questo il problema principale del lavoro di Farmer è che dopo aver assunto l’individuo come vittima della violenza strutturale non viene considerato il punto di vista dell’individuo: se considero il problema la violenza strutturale non ho bisogno del tuo punto di vista. Un’obiezione solita è che se si è oppressi dalle condizioni materiali di esistenza costrittive non si riesce a immaginare il proprio futuro: non è vero, non de-capacitiamo la “vittima”.
l’intensificazione di un conflitto significa che ci si sta preparando alla pace: per avere maggiori margini di contrattazione. pensiero anti-umanista foucaultiano, piace poco in Italia. Il realismo cos’è. Agamben durante la pandemia alimenta narrativa negazionista e quindi Novax. La pandemia è quando la biopolitica si affaccia alla finestra della coscienza, mentre nell’analisi di Foucault si consideravano processi silenti La tua capacità di azione dipende dalle relazioni di cui partecipi: Farmer si è trovato a operare nell’ambito istituzionale e ha cercato di piegare l’arco in quel senso.
Annuario sulla sofferenza sociale: leggere Farmer, Nguyen e Fassin. + Global Assemblage (saggio di Rose e Novas; approfondire il lavoro di Rose, come The politics of life itself)
Oggi gli approcci degli studiosi coniugano sempre ricerca e attivismo. La disiplina per la prima volta non si configura solo come un’approccio critico della biomedicina, ma si affianca all’epidemiologia o all’infettivologia, in materia di sanità pubblica.
Capitale sociale = reti sociali e di comunità su cui puoi fare affidamento. Maggiore è meno probabilità hai di ammalarti e se ti ammali di cronicizzare quel disturbo. Minelli sul Capitale sociale. I collaboratori comunitari di Farmer non fanno altro che generare capitale sociale per creare capacitazione.
il livello di istruzione non incide nel senso che ho maggiore capacità di azione razionale: non basta fare informazione sanitaria se le reti di cui partecipano rimangono fragili. Il livello di educazione è un fattore proxy, ci parla in generale della capacità socio-economica.
Emerge dagli anni 2000 un concetto che mette insieme tutto: la salute globale. Il termine “antropologia medica” nelle accademie viene sostituit da “salute globale”. Emerge come cornice unificante di tutto ciò, sancendo la neonata sinergia operativa tra le scienze sociali e alcuni settori delle scienze biomedica (epidemiologia sociale e sanità pubblica).
Global Health Watch, rapporto ogni 2 anni. Chiara Bodini.
La salute globale è il risultato della somma dei paradigmi di Salute internazionale e Salute pubblica. Si applica la salute pubblica a livello globale. Se ne occupa principalmente l’OMS/WHO.
L’ambulatorio del guaritore e le Politiche della cura sulla professionalizzazione della medicina tradizionale A far la differenza nella salute delle persone non sono le medicine, ma le condizioni di vita. Angelo Stefanini: è una menzogna scrivere “dissenteria” come causa di morte di un bambino in Africa, bisognerebbe scrivere “dissenteria”.
Da Alma Ata emerge il concetto di intersettorialità: creare una vera integrazione, non mera sommatoria, tra servizi che sono normalmente frammentati (servizi sociali, politiche per il lavoro, servizi educativi, etc.). Nasce quindi l’approccio della Comprehensive Primary Health Care, rilanciata dall’OMS nel 2008 e in Italia ci si organizza con la PHC Now or Never, che ha come manifesto il Libro Azzurro. L’obiettivo è implementare i dettami di Alma Ata, che furono “assassinati” sul lago di Como dalla Rockfeller Foundation che decide di applicare la Selective Primary Care con il modello GOBI.
I PAS sono stati abbandonati 15 anni fa, ma per 30 anni hanno devastato i paesi non occidentale. Erano volti a rendere appetibili i paesi agli investitori stranieri:
L’OMS vede tutto ciò come una negazione del diritto alla salute e invece promuove l’accesso ai farmaci essenziali. Si oppongono subito le case farmaceutiche e l’OMS si vede subito congelato il proprio budget da parte del proprio principale finanziatore, gli USA (ritorna atteggiamento ambivalente degli USA: fautori del sistema ONU, ma gelosi del proprio modello sanitario nazionale).
Negli anni Ottanta quindi la salute globale è gestita dalla Banca Monidale, che non fa altro che diffondere a livello globale il neoliberismo di mercato. L’OMS senza budget non può licenziare alcuna politica, venendo ridotta a un ruolo di mero coordinamento internazionale. L’OMS quindi inizia a cercare risorse extra-budget, offerte da donatori: emergono i filantro-capitalisti, che donano milioni imponendone l’utilizzo, privando quindi l’OMS di ogni libertà d’azione.
L’OMS ha visto il proprio budget di nuovo congelato da Trump per la gestione della pandemia. Era accusato di non aver avvisato debitamente i paesi membri del pericolo e di non aver imposto alla Cina misure securitarie: il messaggio che voleva far passare invece era che il modo migliore per gli altri stati per difendersi era aiutare la Cina a gestire l’emergenza. L’OMS oggi necessita di un supporto critico, abbiamo bisogno di organismo che gestisca la salute globale, visto che abbiamo solo sistemi sanitari nazionali ma i problemi non sono mai solo nazionali.
La salute globale non ha un chiaro paradigma, è più un insieme di problemi. Necessitiamo di una cornice teorica chiara e condivisa. Ora come ora si promuove il diritto alla salute fornendo il mero accesso, altrimenti precluso, ai farmaci essenziali, ma senza intaccare i meccanismi di produzione sociale della sofferenza (vedi caso del PEPFAR).
Nel 2008 viene pubblicato un report dell’OMS, Closing the gap in a generation: si dice che la salute è un bene globale comune e collettivo. La salute e la malattia sono intelaiate alle dinamiche sociali economiche e politiche di cui partecipiamo. Questo dinamiche trascendono i confini degli stati da sempre. Non c’è bisogno di altri farmaci o presidi, ma bisogna agire sui determinanti sociali, promuovere quindi la giustizia sociale. Il gap a cui si fa riferimento è tra quello che sappiamo e quello che sappiamo: ciò che facciamo per la salute non è informato da ciò che sappiamo. C’è un’incapacità di mettere in pratica quello che si sa da tempo (Alma Ata 1978).
È a livello locale che cogliamo gli specifici assemblaggi che creano le condizioni per promozione della salute. Ci serve un quadro teorico che ci faccia guardare le connessioni su scala globale, ma gli strumenti di azione devono essere declinabili sul piano locale. Dobbiamo però uscire dai corpi della gente.
Grafico della metropolitana di Londra: più vai a Est più si abbassa l’aspettativa di vita. A Torino più vai verso nord-ovest, verso le Alpi, più si abbassa. Le disuguaglianze in salute non sono solo tra paesi del nord e del sud, ma all’interno di ogni paesi. Studio di Marmot che toglie Londra dai dati dell’Inghilterra e in termini di salute il resto del paese è al livello di un paese del terzo mondo.
Nella salute globale troviamo la “Repubblica della terapia” di cui parla Nguyen. Ma quali alternative abbiamo? Dobbiamo dare una veste teorica al globale, comprendendo di che natura sono le connessioni, cioè che sono per lo più le disugualianze socio-economiche, che vanno a incidere sulla salute. SDH (determinanti sociali della salute) Tutta questa prima parte, cioè la visione del globale come insieme di relazioni di disuguaglianza, è il lavoro di Farmer, ma manca un ripensamento del concetto di salute per migliorare l’idea di “SALUTE - GLOBALE”. La salute è vista ancora solo come assenza di malattia. La critica di Farmer agli approcci culturalisti ci serve, ma noi abbiamo comunque bisogno di un approccio culturale.
Hans Rosling’s 200 Countries, 200 years, 4 minutes, video della BCC.
Closing the Gap non dice nulla di nuovo da ciò che diceva Engels, però è la prima volta in cui un’istituzione arriva a creare ufficialmente una correlazione sistematica tra la salute e i determinanti sociali della stessa. Questo è importante, ma non dobbiamo schiacciarci solo su questo, come Farmer. Da antropologi abbiamo molto da dire sulla problematizzazione del concetto di salute.
La curva di Preston ci fa vedere come dopo un certo livello di benessere la ricchezza “non serve”, non incide più sulla salute: non c’è bisogno di un’azione e di una ridistribuzione così rivoluzionaria, essendo la mediana di Preston così bassa. Bisogna quindi fare una rivoluzione culturale.
Mettere insieme pessimismo della ragione con ottimismo della volontà: Gramsci. Non spetta agli altri fare le cose, né ai ricchi né ai politici, spetta a noi. Forse non cambieremo il mondo, ma almeno l’azione deve partire da noi, non possiamo non fare nulla e accusare la Meloni di turno perché le cose vanno in vacca. Nella promozione del miglior interesse dell’altro si gioca sempre il nostro interesse. Il Covid è stata un’occasione sprecata per far passare il messaggio che se ognuno protegge gli altri, mettendo la mascherina, tutti proteggono noi stessi. La mascherina serviva per proteggere gli altri, non se stessi.
La salute diseguale, M. Marmot
Singer propone il concetto di Sindemia, applicabile anche al COVID.
Se non problematizziamo il concetto di salute finiamo sempre nel riproporre i nostri valori culturali. L’articolo del Lancet, Cultura e salute, dicendo che il più grande ostacolo alla salute globale è culturale, sta dicendo che se non ripensiamo culturalmente il concetto di salute, e continuiamo a intenderlo come mera assenza di malattie, non ci rendiamo conto delle condizioni materiali di esistenza che determinano. Fondamentale dunque, prima di occuparci delle differenze, è riconoscere che quella biomedica è una cultura.
Concentrarci sul dare significato alla vita, o alla morte, delle persone, non rischia di promuovere una cieca accettazione delle condizoni di esistenza che magari hanno portato a quella malattia? Dobbiamo concentrarci sul capacitare le persone a condurre un’esistenza significata oppure sul cambiare le condizoni di esistenza che le costringono?
Bisogna prima comprendere cosa dà senso alla vita del paziente, poi però bisogna anche comprendere quali relazioni e dinamiche limitano la sua capacità di azione di condurre un’esistenza significata. Questa è la vera promozione della salute. Non basta agire sul corpo del paziente, bisogna agire anche sulle relazioni di cui partecipa.
Questa salute intesa come costruzione di relazione significative e non come erogazione di prestazioni può essere perseguita solo nel pubblico, mentre il privato, basato sullo scambio di denaro, si concentrerà inevitabilmente sull’erogazione di prestazioni. La sottrazione di fondi alla sanità pubblica non fa altro che rafforzare il privato, che non vuole distruggere il pubblico, ma sfruttarlo il più possibile per i propri interessi.
operazione di selezione rispetto a ciò che crediamo sia sensato far emergere per promuovere la prospettiva che proponiamo. Slide agili, o immagini evocative o poco testo. Non perdiamo tempo con l’ovvio e il sensato (utilizziamo codice ristretto, come nei rituali). CSI unibo
Medicina difensiva: prescrivere esami solo per certificare che il medico ha fatto tutto il possibile prima di dimettere il paziente. Si spendono soldi e non si persegue il miglior interesse delle persone. Non si tratta di erogare prestazioni ma di costruire relazioni significative “Siamo antropologi, mica siamo cretini” Geppo Costa a Torino
C.S.I. (Centro Studi e Ricerche in Salute Internazionale e Interculturale) fondato nel 2006 in Unibo. Studio su “Equità in salute a Bologna”. CSIaps.
Le comunità non esistono, non basta vivere in un quartiere per farne parte. Sono legami simbolici. Nella ricercazione bisogna tenere conto del cambiamento delle relazioni.
Il bisogno è un costrutto relazionale tra i desideri delle persone e cosa possono erogare determinati servizi.
Limite della ricercazione è che il risultato dipende dagli attori che sei riuscito a coinvolgere. Inoltre se nel corso della ricercazione cambiano i soggetti istituzionali bisogna ricostruire da zero le relazioni con gli stessi.
Processo di capacitazione istituzionale
Quando un’istituzione eroga un servizio o una prestazione sta già trasformando un’aspirazione in bisogno, quindi il meccanismo di rilevamento del bisogno fatto quando il servizio è erogato non serve a nulla. Inoltre le prestazioni erogate cessano quando finiscono i fondi, non quando termina il bisogno.
Frammentazione orizzontale è quando i vari enti agiscono senza comunicare (la sanità, il sociale, ma poi anche la sanità è divisa internamente, etc). Frammentazione verticale è quando dalla conferenza del comune si arriva al servizio: non si conta l’esperienza generata dagli operatori sul territorio. Si superano tramite l’integrazione, anche dei processi organizzativi, non solo socio-sanitaria: bisogna mettere al centro delle prassi la salute e non la malattia.
Istituzione delle Case della comunità per rimpiazzare le Case della salute: idea di promuovere l’integrazione socio-sanitaria, la prossimità e la partecipazione, ma di fatto rimangono sempre poliambulatori d’urgenza (e non emergenza).
Anche se accettiamo di standardizzare la malattia non possiamo sicuramente standardizzare la salute senza chiedere alle persone cosa significa per loro. Necessariamente devo coinvolgere la prospettiva del paziente. Questa è sicuramente un’antropologia medica pubblica
Non bisogna fermarsi a dire che la malattia è un costrutto culturale, bisogna poi capacitare le persone. Non devo nemmeno partire pensando di conoscere il bene per l’altro.
Il privato ha come unico scopo il profitto ottenuto tramite la mera erogazione di una prestazione. Non si occupa della cura del paziente. Solo schiacciando tutto sulla patologia posso guadagnare dall’erogazione di una prestazione. Il privato non si occuperà mai dei principali determinanti della salute (territorio, etc). Problema anche dei gettonisti.
Tutti gli operatori sanitari sono formati a non mettere in ballo il coinvolgimento emotivo, limitiandosi all’erogazione della prestazione.
Nelle riunioni del personale si impone di parlare come se il paziente e i suoi familiari fossero presenti: nessuno riesce all’inizio. Esempio potente di formazione intervento. Tylor letto “Tailor” possessione è una modalità culturalmente connotata di vivere un profondo dolore, non una patologia Quando si parla di privatizzare la sanità pubblica non si vuole smantellarla, ma mettere le mani sui suoi soldi La maggior parte del nostro sapere è la parte implicita dell’esplicito. La partecipazione è un fine in sé, non un mezzo per qualcos’altro
Tesi di laurea.
È un’attività formativa e non un elaborato finale. Imparare cose che si imparano solo facendole.
Fino a 4 punti: in corso, almeno 3 lodi, qualità elaborato.
Restringendo si può poi allargare.
La scrittura costringe a costruire un’argomentazione, gli schemi no: il progetto va scritto come se fosse l’introduzione della tesi. La scrittura come pratica culturale che produce idee, non solo le organizza. Almeno 2/3 pagine consigliate. Verrà cambiato al 100%
Stato dell’arte su Annual Review of Anthropology
Metodo = dati di cui ho bisogno e come me li procuro
Domande per portare la prospettiva teoria sul piano della pratica. Ha senso il mio oggetto? che cambiamenti può portare? perché?
In base al valore che ha per noi la tesi capiremo a chi stiamo scrivendo.
Se preparo la tesi in Overseas devo mettere 12 cfu di preparazione tesi all’estero??
farsi quaderno con indice e numeri di pagina
Prima di scrivere fare una bozza dell’indice per organizzazione generale
NON bisogna scindere la parte teorica da quella di campo. Non bisogna riassumere gli autori, ma utilzzarli per problematizzare quanto emerso tramite l’analisi di campo. Si fa costruendo un indice partendo dai nuclei tematici emersi dalla ricerca di campo. Ogni capitolo deve essere un dialogo tra letteratura e dati emersi dal campo.
Evitare le generalizzazione (“Occidente”, “umanità”, etc)
Revisione, revisione, revisione: l’illuminazione per superare il blocco arriva dalla revisione. Inizia a scrivere anche con la confusione, revisionando arriva l’illuminazione. L’illuminazione non arriva dalla visione, ma dalla revisione.